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martedì 15 luglio 2014

Lo shopping è una malattia? La parola agli esperti




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 Sembra lo slogan di un noto marchio cosmetico, ma è un dubbio, se vogliamo, che inizia a tormentare parecchie donne, che non solo non riescono a smettere di acquistare qualsiasi cosa, bensì molto spesso non trovano soddisfazione al termine dei loro acquisti.
Abbiamo voluto indicare in linea generale il termine shopping e non associare nessun aggettivo, proprio perché questa parola, come il suo significato, è stato demonizzato non poco negli ultimi tempi. Basta pensare a quando proponiamo al nostro compagno: “Andiamo a fare shopping?” Nella quasi totalità dei casi ci troviamo di fronte a risposte di questo tipo: “No, mi dispiace ho da fare“; “Perché non vai con le tue amiche?”; oppure “Assolutamente no, tu mi fai impazzire quando mi chiedi di andare a fare shopping, torno a casa con il mal di testa.
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Chiusa questa parentesi tra il grottesco e il comico, torniamo ad analizzare una dipendenza che sta interessando sempre più donne. Perché si diventa shopping addicted? Per varie ragioni: per colmare delle carenze affettive; perché a nostra volta siamo vittime di un’altra brutta sindrome denominata dell’“accumulatore seriale”; o più semplicemente abbiamo una tale disponibilità economica che non troviamo altro modo (o meglio non vogliamo trovare altro modo) che investirla in scarpe, abbigliamento e accessori.
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 Quando lo shopping non è piacere ma un malessere psicologico
 Per spiegare in modo più dettagliato e scientifico il malessere da shopping compulsivo, Moda e Style ha voluto introdurre in questo servizio alcuni estratti di un articolo della Dott.ssa Maria Monica Ratti (Consulente per il servizio di Psicologia Clinica della Salute dell’Ospedale San Raffaele Milano), pubblicato sul portale Psicologi del Benessere . Iniziamo da una parola: “Oniomania”, ovvero la mania del comprare, dal greco oniomai, è il primo termine utilizzato per descrivere ciò che oggi chiamiamo shopping compulsivo, un fenomeno che solo negli ultimi decenni è stato preso in considerazione da indagini specifiche della letteratura psicologica e psichiatrica e da indagini di mercato sul comportamento dei consumatori. Lo shopping compulsivo va considerato una dipendenza legata aì cambiamenti culturali ed economici degli ultimi anni .
 
 Il mezzo che oggi più che mai “aiuta” a spendere denaro, anche quando la disponibilità fisica non c’è è la carta di credito, croce e delizia delle shopping addicted. Ma come ogni “strumento”, se non utilizzato con parsimonia, self control e intelligenza, finisce con diventare un’arma a doppio taglio. Compri oggi e paghi tra un mese, ma il conto alla fine arriva e se non ci si impongono dei limiti di spesa, eccedere nelle spese è un attimo. Poi arrivano le lacrime da coccodrillo una volta aperto l’estratto conto bancario…
 
 Chi diviene dipendente dallo shopping inizialmente non riesce a vedere il comportamento come problematico, considerandolo un sollievo immediato dallo stress e una fonte di gratificazione personale. Proprio questa illusoria ricompensa iniziale rinforza il comportamento, determinando poi processi compulsivi e ripetitivi. Quando il comportamento diviene più frequente, sentimenti di grandiosità possono portare l’individuo a immaginarsi immune dagli effetti negativi della propria attività compulsiva. La perdita di controllo, derivante dalla spinta a comprare più di quanto sia necessario o ci si possa permettere, è spesso seguita da depressione, vergogna e senso di colpa. Talvolta si arriva ad evitare totalmente il confronto con gli altri , ad isolarsi nel proprio mondo immaginario. I soggetti più a rischio
Donne. Sono le donne i soggetti considerati a rischio da shopping compulsivo. Recentemente questa problematica sembra coinvolgere anche una certa nicchia di uomini. Si tratta di ragazzi giovani, istruiti e con discrete possibilità economiche. Spesso sono professionisti che si mostrano interessati alla moda, alla cura di sé e la cui identificazione con il ruolo maschile risulta sicuramente meno tradizionale. Lo shopping compulsivo rimane tuttavia, soprattutto in Italia, un disturbo più rappresentato dalla popolazione femminile. L’età media di insorgenza è stimata intorno ai 17/18 anni , ma la presa di coscienza del problema generalmente sopraggiunge circa un decennio dopo l’esordio.
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La “cura”
 Il primo passo assolutamente fondamentale è la presa di consapevolezza del problema, senza nascondersi rispetto agli aspetti ludici e desiderabili del comprare (la presenza di saldi, offerte, “non ce l’ho”, il bisogno di cambiare stile/armadio/colore…). Importante, poi, la comprensione di quanto questi comportamenti compulsivi parlino di una problematicità, che va oltre la concretezza dei gesti, che dice di un bisogno emotivo e affettivo, di un bisogno di maggior valorizzazione del proprio valore, indipendente da ciò che si possiede.
Care amiche di Moda e Style vi lasciamo con un paio di aforismi a tema, tratti da due libri che vi consigliamo col sorriso:
Dovrebbero includere lo shopping tra le attività ad alto rischio cardiovascolare. Il cuore non mi batte mai così forte come quando vedo un cartello di RIDOTTO DEL 50%“.
Sophie Kinsella (Madeline Wickham), I Love Shopping, 2000
Lo shopping è terapeutico e per questo direttamente ricollegabile al nostro umore. Andiamo a far compere quando abbiamo bisogno di riflettere, passeggiamo fra i negozi con sguardo famelico, guardiamo le vetrine e fra una presa di coscienza e un nuovo paio di scarpe ritroviamo la serenità“.
Sonia T. Grispo, Come vivere alla moda, 2012
 
 
 
 

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